La cannabis è una pianta dalle cui infiorescenze essiccate è possibile ottenere la marijuana, ovverosia un complesso di molecole che agiscono principalmente a livello del sistema nervoso centrale e periferico: le più note sono THC e CBD, ovvero delta-9-tetraidrocannabinolo e cannabidiolo. Per cannabis legale, in Italia, si intendono tutti quei preparati in cui le concentrazioni di THC – cioè la sostanza responsabile dell’effetto psicotropo – sono comprese tra lo 0,2% e lo 0,6%. La differenza fra cannabis e cannabis light consiste nel fatto che Il THC è responsabile dell’effetto farmacologico, mentre il CBD ne tampona l’azione psicotropa e la seconda viene definita light proprio in virtù della bassa concentrazione di THC, se comparata a quella presente nella cannabis acquistata illegalmente o alla cannabis venduta in farmacia e destinata a uso medico.
La cannabis in Italia – la cannabis light quindi – è legale a partire dal 2016, ossia da quando è stata approvata la legge numero 242 del 2 dicembre, che ha sancito che la sua produzione e commercializzazione sono legali qualora la cannabis abbia, appunto, un contenuto di THC che non superi lo 0,2%. A partire da questo momento, e solo nei termini descritti, si è potuto parlare, a proposito della marijuana in Italia, di legalizzazione – sottolineiamo ancora una volta: di quella light– dopo un lungo dibattito che vedeva coinvolta la pianta.
La cannabis in Italia dopo la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n 30475, depositata il 10 luglio 2019.
Lo scorso 30 maggio è stata rimessa alle Sezioni Unite della Cassazione la seguente questione di diritto: «se le condotte di coltivazione di canapa delle varietà di cui al catalogo indicato nell’art. 1 comma 2 della legge 242 del 2016 e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L. rientrino o meno, e se sì in quali eventuali limiti, nell’ambito di applicabilità delle predette legge e siano, pertanto, penalmente irrilevanti ai sensi di tale normativa». Si è dovuto attendere il deposito delle motivazioni della sentenza per comprendere meglio se la cannabis, legale in Italia dal 2 dicembre 2016, avrebbe continuato a esserlo oppure no.
A proposito della legalità della cannabis in Italia, quindi, con sentenza n. 30475, depositata il 10 luglio 2019, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: «la commercializzazione al pubblico di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, infiorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicabilità della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati, sicché la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L, quali foglie, infiorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, legge n. 242 del 2016, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività». Cosa comporta tutto ciò per la legalità della cannabis in Italia? Te lo sveliamo subito!
Cannabis legale in Italia? Alcune considerazioni finali alla luce di quanto appena esposto.
Come avrai notato, abbiamo sottolineato le ultime due righe delle motivazioni della sentenza delle S.U. della Cassazione: salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività, perché è proprio su queste ultime parole che si gioca la partita sulla cannabis legale in Italia.
A detta di tutti gli esperti, diverse sentenze, la letteratura scientifica e la tossicologia forense, la soglia è stabilita nel limite dello 0,5% di THC. Lo ha ben spiegato l’avvocato Zaina: «Per convenzione tossicologico-giuridica il limite sotto al quale non è riconosciuta efficacia drogante al Thc è pari allo 0,5%. Dunque con la propria pronuncia la Corte di Cassazione fra rientrare dalla finestra ciò che ha fatto uscire dalla porta solo sulla base di un ragionamento di pura apparenza, fondato su di una interpretazione restrittiva della L 242/2016. A tutti i commercianti dico che la loro attività è tuttora possibile e che non devono abbandonare ed abbattersi».
A proposito della cannabis legale in Italia, il concetto è stato poi ribadito dagli avvocati Miglio e Lorenzetti che hanno tranquillizzato i diretti interessati spiegando che la sentenza «dovrebbe far salvi tutti quei derivati della Cannabis Sativa c.d. light con principio attivo fino allo 0,5%».
Anche Federcanapa ha ovviamente detto la sua circa la sentenza riguardo la legalità della cannabis in Italia affermando che «la soluzione delle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione non determina secondo noi la chiusura generalizzata dei negozi che offrono prodotti a base di canapa» perché «da anni la soglia di efficacia drogante del principio attivo THC è stata fissata nello 0,5%».
Non ci resta che attendere ulteriori sviluppi, invitando tutti alla cautela e soprattutto a leggere correttamente le fonti disponibili, senza cedere alla superficialità dei media generalisti, che dopo la sentenza sulla cannabis legale in Italia si sono scatenati, creando un clima di allarme e terrorismo e dando per spacciate – è proprio il caso di dirlo! – le centinaia di negozi di cannabis in Italia, in un momento in cui ci sarebbe molto bisogno di informazioni sulla cannabis legale in Italia e non di confusione al riguardo!